Progetto archeologico Kaukana (Sicilia): risultati della campagna 2020 a Kamarina (Ragusa)
Scritto da Davide Macor il 25/09/2020
Si è conclusa anche quest’anno la quarta campagna di archeologia subacquea sulla nave lapidaria di epoca imperiale sepolta nei fondali di Kamarina, in provincia di Ragusa (Sicilia). A luglio, l’Unità di archeologia subacquea (UAS) dell’Università di Udine ha concentrato nuovamente le proprie ricerche nella baia di Kamarina (video), dove è stata individuata e messa in luce l’intera fiancata della navis lapidaria di fine II secolo d.C., per sottoporla a riprese fotogrammetriche finalizzate a generare un modello 3D e il prelievo di campioni per le analisi paleobotaniche.
Lo scavo del relitto fa parte del più ampio Kaukana Project – condotto dall’Università di Udine in stretta collaborazione scientifica con la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e il supporto dell’Institute of Nautical Archaeology di College Station (Texas, Stati Uniti) – che prevede un organico programma di ricerca e studio delle testimonianze storico-archeologiche conservate lungo il litorale compreso tra le antiche città di Ispica, Kaukana e Kamarina, nel ragusano, finalizzato alla ricostruzione diacronica del paesaggio sommerso e costiero.
Il progetto è nato nel 2017 per volontà di Sebastiano Tusa, già Soprintendente del Mare e poi Assessore ai beni culturali della Regione Sicilia, ed è stato co-diretto dallo stesso Tusa con Massimo Capulli, docente di archeologia subacquea e navale del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine, fino alla tragica scomparsa di Tusa a marzo 2019, nel disastro aereo del volo Ethiopian Airlines mentre era in viaggio per partecipare a un convegno Unesco.
Risultati della quarta campagna di scavo
Anche in epoca Covid – per quanto necessariamente a ranghi ridotti di ricercatori e senza studenti, e nel pieno rispetto delle azioni di contenimento del virus – non si sono fermate le ricerche iniziate lo scorso anno sulla nave lapidaria di epoca imperiale (fine II secolo d.C.) sepolta nei fondali di Kamarina. Il sito sommerso si trova nella baia a sud del sito greco-romano di Kamarina, a circa 2 metri di profondità, sepolto da uno strato variabile compreso tra 1 e 2 metri di sabbia. Obbiettivo della quarta campagna, durata tre settimane, è stato il proseguo dello studio tecnico-costruttivo dello scafo della nave.
Il relitto trasportava due colonne monolitiche, semilavorate e lunghe poco più di 6 metri, di marmo giallo numidico. Si tratta di marmo caratterizzato dalla grana fine e compatta, con venature giallo-paglia, che arrivava a Roma dall’Africa fin dal I secolo a.C. e la cui esportazione continuò per tutto il III secolo d.C., risultando, nell’Editto dei prezzi di Diocleziano, il marmo più costoso. A questo carico principale si aggiungevano altre merci e segnatamente blocchetti di marmo grigio e arenaria compatta, nonché anfore africane. Contenitore questo generalmente destinato al trasporto di olio e i cui luoghi di produzione si trovavano in territori corrispondenti all’odierna Tunisia.
«Dopo un periodo di grande difficoltà per tutto il Paese era necessario riprendere, sia pur gradualmente, le attività di ricerca e studio dei siti culturali della Sicilia al fine di non disperdere tutto il prezioso patrimonio scientifico accumulato nei decenni con le numerose collaborazioni con le istituzioni accademiche e scientifiche nazionali ed internazionali» dice la Soprintendente del Mare, Valeria Li Vigni, il cui impegno è quello di «proseguire e sviluppare ulteriormente tutte le iniziative precedentemente avviate e sostenute da Sebastiano Tusa e che devono essere portate a compimento, tra le quali, appunto, l’approfondimento dell’indagine di una nuova sezione del relitto».
«Il relitto di Kamarina, e per la precisione la porzione di scafo che si è conservata, è più ampia di quanto fino ad oggi supposto – riferisce Massimo Capulli –. Le ricerche condotte questa estate hanno difatti permesso di estendere lo scavo e di seguire la fiancata orientale ben oltre quelli che erano i limiti ipotizzati. Qui sono così stati individuati e documentati alcuni elementi “alti” dell’ossatura trasversale della nave, fondamentali per uno studio ricostruttivo della nave».
Per quanto necessariamente limitata a causa del Covid-19, «la campagna 2020 – conclude Capulli – ha dato i suoi frutti. Gli ultimi dati raccolti aggiungono nuove e preziosissime tessere al complicato mosaico quale quello di un naufragio antico in basso fondale, dove le azioni dei marosi tendono maggiormente a disgregare uno scafo ligneo. La ricchezza culturale di questi fondali sono una delle innumerevoli intuizioni dell’amico Sebastiano Tusa».
Lo scavo del relitto
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la difficoltà maggiore nello studiare questo relitto è data dalla bassissima profondità a cui giace. «Il fondale sabbioso – spiega Massimo Capulli – si muove facilmente con il moto ondoso e soprattutto ancora più facilmente frana durante le fasi di scavo. Per ovviare parzialmente a questa difficoltà, è necessario aprire un’ampia trincea e, procedendo per piani inclinati, rimuovere il sedimento con una sorbona ad acqua».
Tutte le attività in mare sono state coordinate congiuntamente da Massimo Capulli, dell’Università di Udine, con Fabrizio Sgroi, della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, e con la attiva collaborazione dell’Ufficio Locale Marittimo di Scoglitti della Capitaneria di Porto di Pozzallo.