Torna l’ugola tenebrosa di ShE!NoThing con l’album “The cracks of the soul”, un lavoro dalle forti tinte folk rock di matrice 90’s
Scritto da Davide Macor il 19/02/2021
L’ugola tenebrosa di ShE!NoThing è la zattera di Caronte che ci trasporta tra le fiamme di questi dieci brani carichi di pathos che mirano a bruciare tutte le maschere, i falsi miti e i luoghi comuni della nostra società per ricondurci a una purezza primordiale, nuda come l’essenza della verità, infatti, il produttore del disco, Paolo Fattorini, dichiara che “The cracks of the soul” è un album “crudo, sporco, imperfetto, rumoroso, abbandonato all’istinto, senza razionalità, poco formale… insomma vero”.
Tutti i brani del disco sono stati composti in poche settimane. Per accrescere l’attitudine non convenzionale della musica di ShE!NoThinG e donarle sonorità più autentiche e grezze, la batteria è stata suonata posizionando la grancassa in orizzontale, percuotendola come fosse un tamburo, in stile Velvet Underground. Il basso, suonato da Fattorini, è uno straordinario Eko degli anni 70 made in Recanati, ma lo strumento più caratteristico, presente in alcuni brani del disco, è il Fender Bass VI, ovvero una chitarra basso dal suono molto tipico e “ferraglioso”. Nel singolo “I wanna get rich” questo è lo strumento portante ed è fortemente caratterizzante per le atmosfere del brano, riuscendo a sottolineare la durezza sonora delle parole del testo.
Così ShE!NoThinG racconta l’evoluzione del disco: “I miei brani sono il frutto di diverse riflessioni che ho fatto durante quest’ultimo anno. Quando scrivo parto sempre dal testo perché mi piace esprimere prima di tutto un concetto, un’idea, un pensiero e solo dopo compongo la musica. Nel concept dell’album volevo che si percepisse il carattere duro e grezzo che per me caratterizza la verità. All’interno del brano “The Truth” parlo proprio di questo tema a me molto caro. Mi piacerebbe, infatti, vivere in un mondo ‘vero’, dove la gente ha il coraggio di dire la verità anche quando è scomoda. Sempre più spesso, invece, ci nutriamo di menzogne e quel che è peggio è che non le diciamo solo agli altri ma anche e soprattutto a noi stessi.
“Woman” è l’ultimo brano nella track-list ma è stato il primo estratto che ha anticipato l’album. Ci tenevo particolarmente, infatti, a presentarmi attraverso questa composizione, che vuole disperatamente porre attenzione sul delicato tema della violenza sulle donne. Una ballad rock a cui tengo particolarmente. Il secondo singolo è stato invece “Rabbit Hole”, un brano che io definisco ‘nascosto’ perché fa venire voglia di ballare ma in realtà porta dentro la drammaticità di tutti gli altri. Racconta il desiderio di trovare casa o forse di trovare qualcuno che in qualche modo ci faccia sentire a casa. “Rabbit Hole” è un universo parallelo che prova ad inghiottirci se non veniamo salvati (“who’s give me a ride home”).
“Lady” è il brano più pop dell’album ma parla di un cambiamento, di un percorso che può portare chiunque a conquistare una nuova consapevolezza. Rispetto agli altri pezzi in soggettiva, qui parlo in terza persona, come se ascoltassi i consigli di qualcuno. O forse perché sentivo l’urgenza di parlare in modo universale alle altre donne. In “Don’t be afraid”, invece, parlo dei rapporti sentimentali e di quelle dinamiche che spesso si ripetono. La frase “I promise i will bury my strongest side until you see the light” è la mia personale promessa all’inizio di un nuovo rapporto, quella di provare a seppellire in mio lato più forte e lasciar aprire le mie crepe per vedere la luce venirne fuori. “Hold on” è una canzone che tratta delle difficoltà della vita, vuol far capire che alla fine è complicata per tutti, chi più chi meno, e a me piacerebbe, nonostante tutte le difficoltà e i problemi, rimanere sempre me stessa anche se le cose intorno a me dovessero cambiare. Nel ritornello, la frase “keep rolling” è un modo per dire che dovremmo filmare ciò che facciamo nella vita per poi riguardarci a distanza di tempo e capire se siamo cambiati o siamo rimasti gli stessi. Nel brano incito qualcuno a farlo per me nella speranza di poter rimanere sempre me stessa anche se domani dovessi svegliarmi su una panchina.
Poi c’è il terzo singolo, “I wanna get rich”, forse quello più significativo per me, quello che mi tocca di più le corde dell’anima. In questo brano muovo accuse pesanti contro le lobby, contro un mondo consumistico (“I wanna get rich to buy things I don’t need”) e anche contro un cattolicesimo spento, arrivando a trattare anche il tema dell’immortalità intesa come lasciare ai posteri qualcosa per cui valga la pena essere ricordati, magari una canzone…
“Let me get on the train” è un viaggio introspettivo. Ho usato la parola ‘train’ proprio per dare l’idea del movimento che va da dentro a fuori di me, e viceversa. Ognuno può interpretarla a seconda del tipo di viaggio che sta percorrendo o della tappa in cui si trova o della meta a cui vuole giungere. In “My soul” mi metto a nudo e parlo della mia infanzia. Quando ero piccola giravo intorno a me stessa come fanno i monaci dervisci, quasi per entrare in contatto con i miei sogni. Ero molto introspettiva, parlavo poco e vivevo nel mio mondo. Molte persone mi definivano ‘strana’, avevo delle visioni quasi paranormali che ancora oggi mi sono rimaste. All’epoca soffrivo per questa non omologazione, oggi ne sono felice. Penso che la diversità sia una cosa bellissima in un mondo dove tutti vorrebbero essere dei cloni. Infine c’è “Neverland”, in cui ci si rende conto – e io me ne rendo conto per prima – che l’unico cambiamento possibile può partire solo da noi stessi e che il mondo che ci circonda non cambierà mai se non siamo noi a cambiarlo, se non siamo noi i primi a cambiare”.